sabato 16 gennaio 2010

A VOLTE CHIMICA, A VOLTE FISICA (Italian text)

Personale @ Studio Maffei, Milano 19|09|2009

LA CHIMICA E LA FISICA
Dacché ho cognizione autonoma e non condizionata dell’esistenza, ho sempre considerato la Chimica e la Fisica come i due pilastri che sorreggono il Tutto. Ogni fenomeno, dalla gravitazione dei corpi celesti all’amore, dalle malattie alle maree, è riconducibile a queste due forze. Da loro tutto è generato e tutto dipende. Crescendo mi sono attaccato sempre più tenacemente ad una visione scientifica del mondo e di ciò che lo governa. Non sono mai riuscito a trovare nulla di altrettanto credibile, e l’esasperazione di questo mi ha più volte portato ad una sorta di scientismo esistenziale, ad una concezione radicalmente nichilista: nasco poi muoio. Come posso trovare stimoli per vivere? Il mio approccio a queste due scienze risale alla mia infanzia e alla mia congenita curiosità. Sono stato un bambino alla costante ricerca di risposte, ossessionato dai troppi perché inspiegabili, con la necessità e il desiderio di trovare qualcosa (o qualcuno) in grado di farmi comprendere lo scibile e l’ignoto. Il mondo che tanto mi incuriosiva e meravigliava non poteva avere senso se non riuscivo a penetrarlo (o assimilarlo) completamente. Non ero un bambino precoce, ero semplicemente uno che andava fuori di testa se non capiva il perché delle cose. “E’ così e basta” era una risposta che mi creava nevrosi e sconforto. Ho
avuto la discutibile fortuna di avere un padre che ha sempre assecondato la mia voglia di provare, di sperimentare, di far reagire, esplodere e fondere gli elementi. Ora capisco che lo ha fatto più per suo divertimento personale che per spirito di insegnamento dal momento che, ancora oggi che non sono più un bambino, appena può mette mano ai miei divertentissimi esperimenti. Crescendo ho cominciato a capire un po’ di più le enciclopedie e i testi che trovavo in giro per casa. Poi è venuta la scuola, ma imparare non era più così divertente: poco pratico e troppo teorico. Chimica e Fisica sono materie di studio noiosissime. Quando esplodono, o spaccano, o prendono fuoco, allora sì che sono divertenti, è solo lì che, bambino o adulto, mi riescono a emozionare. Ecco perché non le ho mai studiate. Credo che non aver avuto una formazione scientifica adeguata abbia permesso di trasportare Chimica e Fisica nella mia ricerca artistica. Se le avessi conosciute in maniera accademica e razionale difficilmente sarei riuscito ad adattarle alla concezione visionaria che ho di un’opera. Un bagaglio scarno di sapere e la voglia di continuare a meravigliarmi; man mano che il mio lavoro ha preso forma mi sono reso conto che il mio approccio alla Chimica e alla Fisica è simile a quello che avevano gli alchimisti. Nemmeno loro avevano fondamenti, tutto era sperimentale ed empirico. Non avevano la precisione asettica dei ricercatori moderni. L’alchimia era una questione filosofica. Mischiava la Chimica e la Fisica con l’astrologia, la numerologia, la medicina, il misticismo, la religione, l’arte. L’alchimista voleva arrivare a un sapere supremo (sommo sapere) e cercava soluzioni ai problemi dell’uomo, come io cerco da sempre risposte; le varie fasi che componevano il processo alchemico sembrano simili al mio processo creativo. Si basano entrambi sulla ritualità. Quando lavoro i gesti mi vengono fuori come se fossi in trance: inconsci, atavici e incontrollabili come in una danza mistica. E poi c’è la sofferenza: per l’alchimista aveva una valenza vera e propria nel compimento
delle fasi del processo. Io, come lui, spasimo. Il patimento del mio corpo, le martellate, le ustioni con la polvere nera, le schegge di legno e di ferro piantate nella pelle, le inalazioni, le intossicazioni sono una sorta di martirio, il mio sacrificio furibondo per la comprensione, per avere delle risposte. Grazie a questo parallelismo, o forse solo per paura del nulla, mi sono avvicinato ad una visione più mistica di quelli che continuano a rimanere i miei pilastri, intuendo nella scienza una forza che concettualmente, nel profondo, non si discosta molto dalla religione.




Nasco nel legno, da sempre il mio elemento, la mia materia. L’ho studiato attraverso
l’esperienza dei vecchi, falegnami o contadini che fossero, nelle leggende e nella mitologia, nella botanica. Crescendo con una falegnameria sotto casa dove andare a giocare di nascosto manipolare il legno è stato il naturale sfogo ai miei primi bisogni espressivi, quando matite e pennarelli non mi bastavano più. Da bambino vivevo in mezzo ai boschi.Non mi piaceva giocare a pallone, io mi divertivo con gli alberi, sugli alberi, negli alberi. Mi infondevano sicurezza, così enormi, così forti, così saggi. Erano più interessanti degli altri bambini. Le conoscevo a memoria le piante dei miei boschi, ne scorgevo le impercettibili mutazioni ad ogni cambio di stagione anche se rimanevano apparentemente uguali, e paragonando il loro corpo al mio, iniziavo a capire quanto fugace fosse l’esistenza umana.
Poi ho iniziato a costruire mobili, a lavorare con il legno per tirar sù quattrini, imprecando dietro a quelli che sembravano difetti,le crepe, i nodi, le parti che non assorbivano bene la tinta, le venature strane e deformi. Imparavo quelle reazioni che anni dopo avrei applicato ai miei lavori recenti. Eppure per tanto tempo non ho mai pensato al legno come base per il mio lavoro e la mia ricerca: lo vedevo troppo legato alla tradizione scultorea e figurativa. Non mi piace antropomorfizzare un materiale con una spiritualità così profonda. Il legno è vivo, anche da morto. Nasce con il sacrificio di un albero, che con le radici ha vissuto e prodotto ossigeno. L’albero è elemento vitale e nella polpa della sua memoria rivedo questi processi, sento che ha fatto parte di questo sistema che mi tiene in vita. Il legno ha una memoria: la prima cosa che faccio prima di iniziare un lavoro è contare i cerchi del tronco che userò. Attraverso lo spessore dei singoli anelli riconosco le annate secche da quelle piovose e mi perdo a pensare cosa l’albero abbia vissuto di quegli anni: quanta storia, guerre, carestie, morti abbia visto; a quanti drammi umani o sociali abbia fatto da personaggio comprimario, silenzioso e presente nei secoli. Piano piano ho iniziato a conoscerlo sotto un altro aspetto, ad avere con lui un rapporto più intimo e infantile. Così ho imparato che il legno ha un’anima, è un amico saggio a cui raccontare la vita e chiedere consiglio. Non più materia passiva pronta per esser modellata, ma essenza da interpretare, da adattare alle tante condizioni umane; così facile paragonarla a me, alla mia esistenza, ai miei pensieri. Mi piace penetrare la materia, scaricare la rabbia nel legno con gesti forti, faticosi e dolorosi, senza precisione. Proprio come le pulsioni umane fanno. Lo dilato, lo rompo, lo martello, lo picchio contro oggetti, lo strappo, lo annuso, lo mordo, spesso lo mangio per assimilare la sua essenza. Lo sfido in una lotta fisica: la mia forza contro la sua tenacia, e molte volte mi punisce ferendomi il corpo.




Legno di larice, lamiera in ferro ondulata e materiali vari
cm. 280 X 280 x 280

Wunderkammer (Camera delle meraviglie) è un’espressione appartenente alla lingua tedesca, usata per indicare particolari ambienti nei quali, dal XVI secolo al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari. Per un certo verso possono essere considerati lo stadio embrionale dei musei contemporanei. Tutti gli oggetti che destavano meraviglia erano strettamente legati all’idea di possesso da parte dei privati: questo stimolò la crescita e la diffusione del collezionismo. Scopo del collezionista era riuscire ad impossessarsi di oggetti straordinari trovati in natura (naturalia) o o creati dall’uomo (artificialia). Più genericamente questi oggetti venivano definiti mirabilia, cose capaci di suscitare ammirazione e sbigottimento.
Questa installazione ricrea la mia personalissima camera delle meraviglie, un contenitore che custodisce tutta l’essenza del mio lavoro: lo stupore. Ogni fase del mio modo di lavorare lascia dietro di sé una grande quantità di materiale di scarto, frutto dei vari processi per arrivare alla mia quintessenza. Fatico a liberarmene perché ha valore e significato quanto il lavoro stesso. Quella di conservare ciò che per chiunque è considerata immondizia, è per me un’ossessione.Ma è la base della mia ricerca, ne è il senso stesso. Sperimentare e meravigliarmi è il bisogno, esprimere il pensiero attraverso un lavoro una necessità. Ho voluto creare un luogo dove dar valore a quello che apparentemente non ne ha, una sorta di santuario-backstage dove nessun oggetto è casuale o semplicemente scenografico, ma evoca una parte della mia ricerca: gli esperimenti, gli strumenti, le reazioni, gli effetti indesiderati, i lavori non riusciti, le puzze, i dolori fisici, le speranze, le superstizioni, le ambizioni. Un documento alla memoria di quello che del mio lavoro non si saprà mai.





TRAFIGGIMI,TRAPASSAMI,(MA) TRATTIENIMI, 2009
Legno di quercia e ferro
cm. 28 x 7 x 30

Le passioni travolgenti, come le più indomabili pulsioni, non mi è mai riuscito di controllarle. Non riesco ad evitarle anche se ne intuisco ogni volta le conseguenze e mi si conficcano con forza dentro l’anima, come un violento dardo. Mi spaccano in due, mi demoliscono, ma ho imparato che la mente ha una forza, come potenti chiodi,che riesce a tenermi ogni volta insieme.





THE FIRST HOWL (THINKING ABOUT B.B.), 2009
Esplosione su lino
cm. 37 x 53

Il suono del Big Bang, si può ancora sentire dopo più di dieci miliardi di anni, attraverso le onde gravitazionali. Che anche il suono sia infinito?





ESPLOSIONE E TORSIONE, 2009
Legno di ciliegio selvatico
cm. 92 x 26 x 7

TRITTICO VIOLENTO, 2009
Esplosione su ciliegio selvatico
cm. 80 x 37 x 5




QUEL CHE (CI) UNISCE (CI) DIVIDE, 2009
Ciliegio selvatico,chiodi
cm. 83 x 28 x 5

Il chiodo simbolicamente ha una doppia valenza: di dolore e sofferenza, ma anche di unione in quanto è lo strumento da più tempo usato dall’uomo per tenere uniti fra di loro due pezzi.
Ho piantato dei chiodi in un unico tronco,partendo da un vertice fino a raggiungere l’opposto, seguendo la crepa che via via si veniva a formare sulla superficie per la dilatazione del legno sotto la pressione dei chiodi. Il tronco si è così diviso in due parti. Immaginando il tronco come un’unica entità a simboleggiare il sentimento di due individui, ecco come nella realtà sono proprio gli elementi che dovrebbero unire a separare.




SEMEL,BIS, TER, 2009
Esplosioni su lino
cm. 50 x 54

OMOFONIA, 2009
Esplosione su lino
cm. 112x45

In linguistica: la relazione tra parole di significato diverso che si pronunciano allo stesso modo. In musica: una composizione plurineare nella quale le linee si trovano a distanza di ottava.






DIVISO DUE PER SETTE, 2009
Legno di abete
cm. 41x72

È una suddivisione della materia, da un unico blocco, attraverso scissioni binarie
teoricamente infinite.
Ho usato uno scalpello per suddividere il blocco, scalpello che ha una dimensione,
come una dimensione minima ha il pezzo più piccolo che son riuscito a dividere con logica.
Oltre sarebbe stata una rottura e non più una divisione. La mente umana ha bisogno di una dimensione minima, perchè è uno scalpello che scinde il pensiero. Ecco l’inconcepibilità dell’infinito.




ESPLOSIONE, 2009
Esplosioni su lino
cm. 140 x 74




VIS COMPULSIVA, 2009
Legno di quercia,ferro
cm. 48 x 24 x 10

Tratto dal diritto romano: “con questa formula si designa la violenza morale, cioè quella violenza che viene esercitata sulla psiche del soggetto. Tale tipo di violenza, detta anche psichica – quando si presenta con i caratteri delinati dal primo inciso dell'art. 1435 c.c. ("è tale da far impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole") assume rilevanza giuridica”.





HISTORY OF A VIOLENCE, 2009
Legno di noce,ferro
cm. 20x62x19

Fin dalla Grecia antica,e poi via via nelle culture indo-europee,la pianta della noce era sacra ad Artemide, la dea lunare. Un albero quindi dalla marcata simbologia femminile, tanto da divenire in inquisitorie epoche l’albero delle streghe. Il ferro rappresentava Marte, dio della guerra, la forza e quindi l’uomo. Una barra di ferro piantata nel legno di noce, seppur tra i più duri e coriacei, cede alla violenza della materia che vi si pianta,deformandosi e generando crepe mai più sanabili. Questo è quello che rimane nello spirito femmina quando l'istinto ferroso e violento dell'uomo con tanta leggerezza si sprigiona.





LAST SUPPER EXPLODED (DODICI + UNO), 2009
cm. 148 x 212
Permanganato di potassio,esplosioni,e combusitone di polvere nera su lino.






AFFIDO I MIEI DUBBI ALLA QUERCIA, 2009
Legno di quercia,gancio per trasporto marittimo,ferro
cm. 113x11x32

La quercia,albero sacro per eccellenza,è per ogni cultura simbolo di saggezza, di forza e di virtù. Rappresenta l’uomo. Ha radici molto profonde nella terra (l’aspetto materiale) e rami che altissimi si spingono in cielo (l’aspetto spirituale): la completezza e l’equilibrio della condizione umana. Mi piace l’idea di piantare un interrogativo gancio con un gesto violento nel legno,che così tanto ha visto e che così tanto durerà, come ad evocare tutte le mie rabbiose perplessità ed implorare certezze. Chisonocosasonodovevadocosasarò? Forse la quercia sa qualcosa.





LAST WOODEN SUPPER (DODICI + UNO), 2009
Legno di noce, cera lacca, spago
cm. 43 x 14 x 11

SUDDIVISIONE, 2009

DILATAZIONE, 2009
Legno di quercia,ferro
cm 57 x 6 x 1







DILATAZIONE, 2009
Legno di quercia,ferro
cm. 126 x 6 x 11

DILATAZIONE CON BULLONI, 2009
Legno di quercia,dadi di ferro
cm. 110 x 4 x 11

EGO VS. PARANOID, 2009
Legno di abete,chiodi
cm. 53x10x21

Una carica esplosiva posta in un incavo scavato fra due tavole di abete, successivamente inchiodate fra di loro, esplodendo contrappone la forza della deflagrazione alla costrizione della chiodatura. Una metafora dell'equilibrio doloroso ma stabile fra la potenza dell'ego e l'oppressione delle sue angosce.








3, 2009 Esplosione e combustione di polvere nera su lino cm. 176 x 101 ESPLOSIONE, 2009 Esplosione su cotone cm. 70 x 67 DILATAZIONE, 2009 Legno di quercia e ferro cm. 38 x 28 x 9,5

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