giovedì 28 gennaio 2010

domenica 24 gennaio 2010

lost in wood



Ph. Alice Pedroletti

martedì 19 gennaio 2010

lunedì 18 gennaio 2010

Intervista per Bluarte


Corrado Abate, in una delle sue affermazioni: “Nasco nel legno…L’ho studiato attraverso l’esperienza dei vecchi, falegnami o contadini che fossero, dalle leggende e dalla mitologia”. Questo è solo l’inizio per un’artista giovane, ma con prospettive inimmaginabili. Abate è un vulcano, freme: chimica, fisica, psicologia, sociologia, è la fusione dell’arte per un sguardo lontano… 

Come inizia l’arte di Corrado Abate ?  
Con la curiosità, giocando all'inizio, poi con l'impegno e la totale devozione.

Lei ha partecipato con l’opera: “Gabbia numero due:tempo” alla Kunstart 2009 di Bolzano , quale era il suo messaggio?  
Un lavoro sulla percezione del tempo. Nove metronomi scandiscono nove fasi della vita. La scienza dimostra come lo scorrere del tempo, la sua velocità, sia percepito dall'uomo in maniera sempre più accelerata man mano che invecchia. Si va dall'infanzia, in cui il tempo è dilatato e non se ne ha coscienza tanto scorre lento, alla vecchiaia, in cui l'angoscia della fine ci risucchia inesorabilmente.

Una gabbia, i metronomi, è  il segno del tempo ?
La gabbia rappresenta la condizione umana: è una condanna il tempo a cui nessuno può sfuggire.
 
Arte per esprimere o per imprimere  il tempo?
No, solo per esprimere un disagio, condividere la mia angoscia. 
 
Angoscia?
Nasco e poi muoio. Mi sembrano un po’ poche come certezze.
 
Ha realizzato opere per grandi spazi ?
Alla Kunstart  ho presentato anche un lavoro, "Il muro del Scarto" lungo cinque metri per tre di altezza ed uno di profondità.
E' complicato trovare spazi e condizioni ideali, specie agli inizi. Grandi lavori comportano grandi costi, ed è difficile che un privato compri opere tanto ingombranti. Con questo lavoro però è andata bene, è stato acquisito da un collezionista di Bolzano.
 
Con lo Studio Maffei, quale è il suo rapporto…
E' un rapporto di collaborazione e condivisione reciproca, di fatiche ed ambizioni. 
Lo Studio Maffei lavora anche con artisti affermati, alcuni consegnati già alla storia. Ma investe su giovani emergenti come me, e con la Fiera Kunstart, una fiera giovane e proiettata al futuro ne ha dato un esempio.
 
Come artista, cosa pensa dell’arte contemporanea che cerca di scandalizzare ? 
L'arte ha sempre scandalizzato. E' un'espressione del pensiero, è inevitabile che in certi momenti si faccia compromettente.   Ogni periodo storico ha avuto i propri oltraggi, e statisticamente sono stati i capisaldi per future evoluzioni.
L'arte moderna si è sviluppata parallelamente a tempi di grande cambiamento per l'uomo, specie dal punto di vista morale e sociale: è normale che il pensiero si sia spinto ogni volta oltre il limite del pensare comune. Fa parte del più generico processo di sviluppo dell'umanità.
L'arte contemporanea ha urlato molto forte in questo senso. Forse i nostri giorni sono saturi di scandali, in ogni settore: probabilmente il vero oltraggio, per pensare fuori dalla massa, è la normalità. Con questo non credo che una rana crocifissa, o un bambino impiccato possa davvero sconvolgere la moralità di qualcuno.  Il pensar bene è offeso quotidianamente con cose ben più gravi.
 
 Il vivere quotidiano e la tecnologia , in che modo dialogano con la sua arte ? 
Il mio lavoro potrebbe esser stato fatto secoli fa per i materiali che uso. Ma il mio pensiero non uscirebbe dal mio studio se non esistesse la tecnologia. Viviamo in un mondo sempre più grande, ed il mestiere dell'artista ha bisogno della tecnologia e del progresso.
 
L’arte bisogna viverla dentro, non crede che troppi giovani artisti hanno fretta di arrivare? 
Un artista ha la missione di esprimere il proprio pensiero. La ricchezza può attendere, la fama e la gloria possono aspettare. Ma l'ossessione di non riuscire a dire tutto in tempo è costante. Vede, è sempre colpa del tempo.
 
Cosa dovrebbero fare, secondo lei,  le gallerie per i giovani artisti ? 
Il Sistema Arte è fatto da tanti attori. Le gallerie hanno una parte importante perché sono quelle che scoprono, sgrossano e buttano sul palcoscenico i giovani artisti.  Ma i poteri forti, quelli che scrivono i copioni, sono altri: le fondazioni ed i musei, ad esempio, che molto poco investono sui giovani italiani.  Lo Stato latita, la cultura non è una priorità. Poi curatori, critici, giornalisti, Pochi i grandi collezionisti, quelli che con un acquisizione fanno la fortuna di un artista, a differenza di molti altri paesi.
 
Corrado Abate , dal futuro artistico cosa si aspetta?
Quel che certo è tanto lavoro e sudore.
 
 
 

di Michele Luongo © Produzione riservata  dalla mitologia”. Questo è solo l’inizio per un’artista giovane, ma con prospettive inimmaginabili. Abate è un vulcano, freme: chimica, fisica, psicologia, sociologia, è la fusione dell’arte per un sguardo lontano… 
Come inizia l’arte di Corrado Abate ?  
Con la curiosità, giocando all'inizio, poi con l'impegno e la totale devozione.

Lei ha partecipato con l’opera: “Gabbia numero due:tempo” alla Kunstart 2009 di Bolzano , quale era il suo messaggio?  
Un lavoro sulla percezione del tempo. Nove metronomi scandiscono nove fasi della vita. La scienza dimostra come lo scorrere del tempo, la sua velocità, sia percepito dall'uomo in maniera sempre più accelerata man mano che invecchia. Si va dall'infanzia, in cui il tempo è dilatato e non se ne ha coscienza tanto scorre lento, alla vecchiaia, in cui l'angoscia della fine ci risucchia inesorabilmente.

Una gabbia, i metronomi, è  il segno del tempo ?
La gabbia rappresenta la condizione umana: è una condanna il tempo a cui nessuno può sfuggire.
 
Arte per esprimere o per imprimere  il tempo?
No, solo per esprimere un disagio, condividere la mia angoscia. 
 
Angoscia?
Nasco e poi muoio. Mi sembrano un po’ poche come certezze.
 
Ha realizzato opere per grandi spazi ?
Alla Kunstart  ho presentato anche un lavoro, "Il muro del Scarto" lungo cinque metri per tre di altezza ed uno di profondità.
E' complicato trovare spazi e condizioni ideali, specie agli inizi. Grandi lavori comportano grandi costi, ed è difficile che un privato compri opere tanto ingombranti. Con questo lavoro però è andata bene, è stato acquisito da un collezionista di Bolzano.
 
Con lo Studio Maffei, quale è il suo rapporto…
E' un rapporto di collaborazione e condivisione reciproca, di fatiche ed ambizioni. 
Lo Studio Maffei lavora anche con artisti affermati, alcuni consegnati già alla storia. Ma investe su giovani emergenti come me, e con la Fiera Kunstart, una fiera giovane e proiettata al futuro ne ha dato un esempio.
 
Come artista, cosa pensa dell’arte contemporanea che cerca di scandalizzare ? 
L'arte ha sempre scandalizzato. E' un'espressione del pensiero, è inevitabile che in certi momenti si faccia compromettente.   Ogni periodo storico ha avuto i propri oltraggi, e statisticamente sono stati i capisaldi per future evoluzioni.
L'arte moderna si è sviluppata parallelamente a tempi di grande cambiamento per l'uomo, specie dal punto di vista morale e sociale: è normale che il pensiero si sia spinto ogni volta oltre il limite del pensare comune. Fa parte del più generico processo di sviluppo dell'umanità.
L'arte contemporanea ha urlato molto forte in questo senso. Forse i nostri giorni sono saturi di scandali, in ogni settore: probabilmente il vero oltraggio, per pensare fuori dalla massa, è la normalità. Con questo non credo che una rana crocifissa, o un bambino impiccato possa davvero sconvolgere la moralità di qualcuno.  Il pensar bene è offeso quotidianamente con cose ben più gravi.
 
 Il vivere quotidiano e la tecnologia , in che modo dialogano con la sua arte ? 
Il mio lavoro potrebbe esser stato fatto secoli fa per i materiali che uso. Ma il mio pensiero non uscirebbe dal mio studio se non esistesse la tecnologia. Viviamo in un mondo sempre più grande, ed il mestiere dell'artista ha bisogno della tecnologia e del progresso.
 
L’arte bisogna viverla dentro, non crede che troppi giovani artisti hanno fretta di arrivare? 
Un artista ha la missione di esprimere il proprio pensiero. La ricchezza può attendere, la fama e la gloria possono aspettare. Ma l'ossessione di non riuscire a dire tutto in tempo è costante. Vede, è sempre colpa del tempo.
 
Cosa dovrebbero fare, secondo lei,  le gallerie per i giovani artisti ? 
Il Sistema Arte è fatto da tanti attori. Le gallerie hanno una parte importante perché sono quelle che scoprono, sgrossano e buttano sul palcoscenico i giovani artisti.  Ma i poteri forti, quelli che scrivono i copioni, sono altri: le fondazioni ed i musei, ad esempio, che molto poco investono sui giovani italiani.  Lo Stato latita, la cultura non è una priorità. Poi curatori, critici, giornalisti, Pochi i grandi collezionisti, quelli che con un acquisizione fanno la fortuna di un artista, a differenza di molti altri paesi.
 
Corrado Abate , dal futuro artistico cosa si aspetta?
Quel che certo è tanto lavoro e sudore.
 
 
 
di Michele Luongo © Produzione riservata 

domenica 17 gennaio 2010

A VOLTE CHIMICA, A VOLTE FISICA (English text)

Solo exhibition @ Studio Maffei, Milano 19|09|2009

Chemistry, physics.

My work departs from a, at times scientist-like, scientific concept of existence. I can only conceive what science explains to me, each phenomenon, emotion and the human condition itself traces back to these two pillars on which everything stands.

My approach to these two sciences goes back to my childhood and has origins in my curiosity and constant search as a child for answers: experiments, trials, and reactions I searched for helped me to understand better what surrounded me and what I was part of. Mine was therefore, a self taught path, because chemistry and physics are only amusing when you can touch or smell them, and only then is the emotion created which I transfer to my work. If I had studied them in an academic way I doubt that I would be able to adapt them to the visionary concept I have of my work. And so through time I have realised that my method of research has always been closer to the process carried out by alchemists, made up of experimentations, because at the time, the study that goes on in modern science did not exist. They searched for supreme knowledge in order to resolve the problems of man through alchemy, which mixed chemistry and physics with astrology, numerology, medicine, mysticism, religion and art. I started to notice a series of similarities between the processes of my way of working with those of the alchemists: rituality, suffering, physically as well, experimentation and the furious, incessant search for absolute knowledge. Slowly a sort of mysticism pervaded me to the point that I was able to conceive chemistry and physics as one entity, like something above everything else. This is the principle of any and every religion.




Matter

Wood was my first element, the first material I was able to vent my innate, creative drive onto. I was born in the middle of the woods, and trees were my playmates, large enough to make me feel safe; I was lucky to have my parent’s wood shop right below the house, and as soon as I could, I would hole up there to build anything that popped into my imagination, with plenty of wood at my disposition. Through the years wood also became a way of making a living, by building furniture to make ends meet. Yet for many years I never thought of wood for my artistic research, I saw it too tied to sculpture and figurative things, and so I abandoned it in order to experiment with new techniques and other materials. I rediscovered it in the past few years and started to see it again through the eyes of a child, with an awareness and mastery of the material that comes from years of working with it. Wood is alive, even when dead, it is born from the sacrifice of a plant that once produced oxygen and was a vital element. It is also imbued with memory in its pulp. This is why wood lends itself perfectly to the human condition as a metaphor: I break it, distend it, strip it and make it explode, just like impulses do to human matter.




MEINE W.K., 2009

Larch wood, corrugated iron sheet and various materials

cm. 280 X 280 x 280

This installation re-creates my own personal wonderland room, a container that safely holds the essence of all my work: amazement. In each phase of my work an enormous amount of discard is left behind, the fruit of various steps leading to the quintessence of it. I have trouble getting rid of it because it has just as much value and meaning as the work itself. Keeping what is considered rubbish for anyone else is an obsession for me, it is actually the base of my research, and the sense in itself.

To experiment and amaze myself is the need, to express the thought through the work a necessity. I wanted to create a place in order to give value to that which apparently has none, inspired by concett odi Wunderkammer, a sort of backstage-sanctuary where no object is by chance, nor simply a set within the scene, but rather evokes a part of my research: the experiments, instruments, reactions, the undesired effects, pieces that did not work out, the smells, the physical pain, hopes, superstitions and the ambitions. It is a document of the memory of what will never be known about my work.





PIERCE (ME), TRANSFIX (ME) BUT KEEP (ME), 2009

Oak wood, iron

cm. 28 x 7 x 30

I have never been able to control sweeping passion, nor have I the most untameable of impulses for that matter. I am unable to avoid them, even though each time I intuit the consequences they powerfully thrust into my soul, like a swift, violent dart. They break me in two and demolish me, but I have learned that the mind has a force, like strong nails, which are able to keep me together each and every time.






THE FIRST HOWL (THINKING ABOUT B.B.), 2009
Explosion on linen
cm. 37 x 53

The sound of the Big Bang can still be heard after more than ten billion years through gravitational waves. Could the sound be infinite as well?






EXPLOSION AND TORSION, 2009
Cherry wood

cm. 92 x 26 x 7

VIOLENT TRIPTYCH, 2009
Explosion on cherry wood
cm. 80 x 37 x 5




WHAT UNITES US,DIVIDES US, 2009

Cherry wood, nails

cm. 83 x 28 x 5

The nail symbolically has two merits: of pain and suffering, but also of unity in that it is the instrument that has been used by man the longest to keep two pieces together.

I have pounded nails into a single trunk, starting from the top going all the way to the bottom, following the crack that forms on the surface from the pressure of the nails, causing it to open up. This is how a trunk splits into two parts. Imagine the trunk as a single entity symbolising the feelings of two individuals, this is why in actuality it is the elements themselves that should unite or separate.





SEMEL, BIS, TER, 2009
Explosion on linen
cm. 50 x 54

OMOFONIA, 2009
Explosion on linen
cm. 112x45

In linguistics: the relationship between a word with different meanings but with the same pronunciation. In music: a plurineare composition in which the lines are an octave apart.






DIVIDED 2 FOR 7, 2009

Fir wood

cm. 41x72

It is a subdivision of matter, from a single block, through theoretically infinite binary divisions. I used a chisel to subdivide the block, a chisel of a certain dimension, like the minimal dimension that the smallest piece I was able to logically divide has.

Beyond that it would have been a break and not a division any longer.

The human mind needs a minimum dimension, because it is a chisel that chisels thoughts. Herein is the inconceivability of the infinite.





ESPLOSIONE, 2009
Explosion on linen
cm. 140 x 74




VIS COMPULSIVA, 2009
Oak, iron
cm. 48 x 24 x 10






HISTORY OF A VIOLENCE, 2009

Walnut wood, iron

cm. 20x62x19

All the way from the times of ancient Greece, and then gradually through Indo-European cultures, the walnut plant was sacred to Artemide (Phoebe), the lunar goddess. It is a tree therefore with distinct feminine symbolism, so much that in eras of Inquisition it became the tree of witches. Iron represented Mars, god of war, thus power and man. An iron bar pounded into walnut wood, even though it is among the hardest and toughest, gives way under the violence of the matter that is pounded into it, deforming itself and generating cracks that can never be repaired. This is what remains in the female spirit when the violent, ferrous instinct of man frivolously emits as if nothing.






LAST SUPPER EXPLODED (TWELVE + ONE), 2009
cm. 148 x 212
Potassium permanganate, explosions, and burnt black powder on linen






I CONFIDE MY DOUBTS TO THE OAK, 2009
Oak, iron
cm. 113x11x32

The oak, the sacred tree par excellence, is a symbol of wisdom, strength and virtue for every culture. It represents man. It has roots that dig very deep into the earth, (the material aspect) and extremely tall branches that reach to the sky (the spiritual aspect): the completeness and balance of the human condition. I like the idea of violently pounding a interrogativo gancio=sizable hook in the shape of a question mark? into wood, for all that it has seen and for as long as it will last, as if to evoke all my angry perplexities and implore certainties. WhoamIwhatamIwhereamIgoingwhatwillbecomeofme? Maybe the oak knows something about these matters.





LAST WOODEN SUPPER (DODICI + UNO), 2009
Walnut wood, wax, string
cm. 43 x 14 x 11

SUBDIVISION, 2009

DILATATION, 2009
Oak, iron
cm 57 x 6 x 1







DILATATION, 2009
Oak, iron
cm. 126 x 6 x 11

DILATATION WITH BOLTS, 2009
Oak, bolts
cm. 110 x 4 x 11

EGO VS. PARANOID, 2009
Fir wood, nails
cm. 53x10x21

An explosive charge placed in a hollow dug out between two fir planks, and then later nailed together, and in blowing up opposes the strength of the explosion under the constriction of the nailing. A metaphor of the painful, yet stable balance between the power of the ego and the oppression of its anguish.








3, 2009
Explosion and burnt black powder on linen
cm. 176 x 101

EXPLOSION, 2009
Explosion on cotton
cm. 70 x 67

DILATAtion, 2009
Oak, iron
cm. 38 x 28 x 9,5

sabato 16 gennaio 2010

MAKING OF A SOLO



















A VOLTE CHIMICA, A VOLTE FISICA (Italian text)

Personale @ Studio Maffei, Milano 19|09|2009

LA CHIMICA E LA FISICA
Dacché ho cognizione autonoma e non condizionata dell’esistenza, ho sempre considerato la Chimica e la Fisica come i due pilastri che sorreggono il Tutto. Ogni fenomeno, dalla gravitazione dei corpi celesti all’amore, dalle malattie alle maree, è riconducibile a queste due forze. Da loro tutto è generato e tutto dipende. Crescendo mi sono attaccato sempre più tenacemente ad una visione scientifica del mondo e di ciò che lo governa. Non sono mai riuscito a trovare nulla di altrettanto credibile, e l’esasperazione di questo mi ha più volte portato ad una sorta di scientismo esistenziale, ad una concezione radicalmente nichilista: nasco poi muoio. Come posso trovare stimoli per vivere? Il mio approccio a queste due scienze risale alla mia infanzia e alla mia congenita curiosità. Sono stato un bambino alla costante ricerca di risposte, ossessionato dai troppi perché inspiegabili, con la necessità e il desiderio di trovare qualcosa (o qualcuno) in grado di farmi comprendere lo scibile e l’ignoto. Il mondo che tanto mi incuriosiva e meravigliava non poteva avere senso se non riuscivo a penetrarlo (o assimilarlo) completamente. Non ero un bambino precoce, ero semplicemente uno che andava fuori di testa se non capiva il perché delle cose. “E’ così e basta” era una risposta che mi creava nevrosi e sconforto. Ho
avuto la discutibile fortuna di avere un padre che ha sempre assecondato la mia voglia di provare, di sperimentare, di far reagire, esplodere e fondere gli elementi. Ora capisco che lo ha fatto più per suo divertimento personale che per spirito di insegnamento dal momento che, ancora oggi che non sono più un bambino, appena può mette mano ai miei divertentissimi esperimenti. Crescendo ho cominciato a capire un po’ di più le enciclopedie e i testi che trovavo in giro per casa. Poi è venuta la scuola, ma imparare non era più così divertente: poco pratico e troppo teorico. Chimica e Fisica sono materie di studio noiosissime. Quando esplodono, o spaccano, o prendono fuoco, allora sì che sono divertenti, è solo lì che, bambino o adulto, mi riescono a emozionare. Ecco perché non le ho mai studiate. Credo che non aver avuto una formazione scientifica adeguata abbia permesso di trasportare Chimica e Fisica nella mia ricerca artistica. Se le avessi conosciute in maniera accademica e razionale difficilmente sarei riuscito ad adattarle alla concezione visionaria che ho di un’opera. Un bagaglio scarno di sapere e la voglia di continuare a meravigliarmi; man mano che il mio lavoro ha preso forma mi sono reso conto che il mio approccio alla Chimica e alla Fisica è simile a quello che avevano gli alchimisti. Nemmeno loro avevano fondamenti, tutto era sperimentale ed empirico. Non avevano la precisione asettica dei ricercatori moderni. L’alchimia era una questione filosofica. Mischiava la Chimica e la Fisica con l’astrologia, la numerologia, la medicina, il misticismo, la religione, l’arte. L’alchimista voleva arrivare a un sapere supremo (sommo sapere) e cercava soluzioni ai problemi dell’uomo, come io cerco da sempre risposte; le varie fasi che componevano il processo alchemico sembrano simili al mio processo creativo. Si basano entrambi sulla ritualità. Quando lavoro i gesti mi vengono fuori come se fossi in trance: inconsci, atavici e incontrollabili come in una danza mistica. E poi c’è la sofferenza: per l’alchimista aveva una valenza vera e propria nel compimento
delle fasi del processo. Io, come lui, spasimo. Il patimento del mio corpo, le martellate, le ustioni con la polvere nera, le schegge di legno e di ferro piantate nella pelle, le inalazioni, le intossicazioni sono una sorta di martirio, il mio sacrificio furibondo per la comprensione, per avere delle risposte. Grazie a questo parallelismo, o forse solo per paura del nulla, mi sono avvicinato ad una visione più mistica di quelli che continuano a rimanere i miei pilastri, intuendo nella scienza una forza che concettualmente, nel profondo, non si discosta molto dalla religione.




Nasco nel legno, da sempre il mio elemento, la mia materia. L’ho studiato attraverso
l’esperienza dei vecchi, falegnami o contadini che fossero, nelle leggende e nella mitologia, nella botanica. Crescendo con una falegnameria sotto casa dove andare a giocare di nascosto manipolare il legno è stato il naturale sfogo ai miei primi bisogni espressivi, quando matite e pennarelli non mi bastavano più. Da bambino vivevo in mezzo ai boschi.Non mi piaceva giocare a pallone, io mi divertivo con gli alberi, sugli alberi, negli alberi. Mi infondevano sicurezza, così enormi, così forti, così saggi. Erano più interessanti degli altri bambini. Le conoscevo a memoria le piante dei miei boschi, ne scorgevo le impercettibili mutazioni ad ogni cambio di stagione anche se rimanevano apparentemente uguali, e paragonando il loro corpo al mio, iniziavo a capire quanto fugace fosse l’esistenza umana.
Poi ho iniziato a costruire mobili, a lavorare con il legno per tirar sù quattrini, imprecando dietro a quelli che sembravano difetti,le crepe, i nodi, le parti che non assorbivano bene la tinta, le venature strane e deformi. Imparavo quelle reazioni che anni dopo avrei applicato ai miei lavori recenti. Eppure per tanto tempo non ho mai pensato al legno come base per il mio lavoro e la mia ricerca: lo vedevo troppo legato alla tradizione scultorea e figurativa. Non mi piace antropomorfizzare un materiale con una spiritualità così profonda. Il legno è vivo, anche da morto. Nasce con il sacrificio di un albero, che con le radici ha vissuto e prodotto ossigeno. L’albero è elemento vitale e nella polpa della sua memoria rivedo questi processi, sento che ha fatto parte di questo sistema che mi tiene in vita. Il legno ha una memoria: la prima cosa che faccio prima di iniziare un lavoro è contare i cerchi del tronco che userò. Attraverso lo spessore dei singoli anelli riconosco le annate secche da quelle piovose e mi perdo a pensare cosa l’albero abbia vissuto di quegli anni: quanta storia, guerre, carestie, morti abbia visto; a quanti drammi umani o sociali abbia fatto da personaggio comprimario, silenzioso e presente nei secoli. Piano piano ho iniziato a conoscerlo sotto un altro aspetto, ad avere con lui un rapporto più intimo e infantile. Così ho imparato che il legno ha un’anima, è un amico saggio a cui raccontare la vita e chiedere consiglio. Non più materia passiva pronta per esser modellata, ma essenza da interpretare, da adattare alle tante condizioni umane; così facile paragonarla a me, alla mia esistenza, ai miei pensieri. Mi piace penetrare la materia, scaricare la rabbia nel legno con gesti forti, faticosi e dolorosi, senza precisione. Proprio come le pulsioni umane fanno. Lo dilato, lo rompo, lo martello, lo picchio contro oggetti, lo strappo, lo annuso, lo mordo, spesso lo mangio per assimilare la sua essenza. Lo sfido in una lotta fisica: la mia forza contro la sua tenacia, e molte volte mi punisce ferendomi il corpo.




Legno di larice, lamiera in ferro ondulata e materiali vari
cm. 280 X 280 x 280

Wunderkammer (Camera delle meraviglie) è un’espressione appartenente alla lingua tedesca, usata per indicare particolari ambienti nei quali, dal XVI secolo al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari. Per un certo verso possono essere considerati lo stadio embrionale dei musei contemporanei. Tutti gli oggetti che destavano meraviglia erano strettamente legati all’idea di possesso da parte dei privati: questo stimolò la crescita e la diffusione del collezionismo. Scopo del collezionista era riuscire ad impossessarsi di oggetti straordinari trovati in natura (naturalia) o o creati dall’uomo (artificialia). Più genericamente questi oggetti venivano definiti mirabilia, cose capaci di suscitare ammirazione e sbigottimento.
Questa installazione ricrea la mia personalissima camera delle meraviglie, un contenitore che custodisce tutta l’essenza del mio lavoro: lo stupore. Ogni fase del mio modo di lavorare lascia dietro di sé una grande quantità di materiale di scarto, frutto dei vari processi per arrivare alla mia quintessenza. Fatico a liberarmene perché ha valore e significato quanto il lavoro stesso. Quella di conservare ciò che per chiunque è considerata immondizia, è per me un’ossessione.Ma è la base della mia ricerca, ne è il senso stesso. Sperimentare e meravigliarmi è il bisogno, esprimere il pensiero attraverso un lavoro una necessità. Ho voluto creare un luogo dove dar valore a quello che apparentemente non ne ha, una sorta di santuario-backstage dove nessun oggetto è casuale o semplicemente scenografico, ma evoca una parte della mia ricerca: gli esperimenti, gli strumenti, le reazioni, gli effetti indesiderati, i lavori non riusciti, le puzze, i dolori fisici, le speranze, le superstizioni, le ambizioni. Un documento alla memoria di quello che del mio lavoro non si saprà mai.





TRAFIGGIMI,TRAPASSAMI,(MA) TRATTIENIMI, 2009
Legno di quercia e ferro
cm. 28 x 7 x 30

Le passioni travolgenti, come le più indomabili pulsioni, non mi è mai riuscito di controllarle. Non riesco ad evitarle anche se ne intuisco ogni volta le conseguenze e mi si conficcano con forza dentro l’anima, come un violento dardo. Mi spaccano in due, mi demoliscono, ma ho imparato che la mente ha una forza, come potenti chiodi,che riesce a tenermi ogni volta insieme.





THE FIRST HOWL (THINKING ABOUT B.B.), 2009
Esplosione su lino
cm. 37 x 53

Il suono del Big Bang, si può ancora sentire dopo più di dieci miliardi di anni, attraverso le onde gravitazionali. Che anche il suono sia infinito?





ESPLOSIONE E TORSIONE, 2009
Legno di ciliegio selvatico
cm. 92 x 26 x 7

TRITTICO VIOLENTO, 2009
Esplosione su ciliegio selvatico
cm. 80 x 37 x 5




QUEL CHE (CI) UNISCE (CI) DIVIDE, 2009
Ciliegio selvatico,chiodi
cm. 83 x 28 x 5

Il chiodo simbolicamente ha una doppia valenza: di dolore e sofferenza, ma anche di unione in quanto è lo strumento da più tempo usato dall’uomo per tenere uniti fra di loro due pezzi.
Ho piantato dei chiodi in un unico tronco,partendo da un vertice fino a raggiungere l’opposto, seguendo la crepa che via via si veniva a formare sulla superficie per la dilatazione del legno sotto la pressione dei chiodi. Il tronco si è così diviso in due parti. Immaginando il tronco come un’unica entità a simboleggiare il sentimento di due individui, ecco come nella realtà sono proprio gli elementi che dovrebbero unire a separare.




SEMEL,BIS, TER, 2009
Esplosioni su lino
cm. 50 x 54

OMOFONIA, 2009
Esplosione su lino
cm. 112x45

In linguistica: la relazione tra parole di significato diverso che si pronunciano allo stesso modo. In musica: una composizione plurineare nella quale le linee si trovano a distanza di ottava.






DIVISO DUE PER SETTE, 2009
Legno di abete
cm. 41x72

È una suddivisione della materia, da un unico blocco, attraverso scissioni binarie
teoricamente infinite.
Ho usato uno scalpello per suddividere il blocco, scalpello che ha una dimensione,
come una dimensione minima ha il pezzo più piccolo che son riuscito a dividere con logica.
Oltre sarebbe stata una rottura e non più una divisione. La mente umana ha bisogno di una dimensione minima, perchè è uno scalpello che scinde il pensiero. Ecco l’inconcepibilità dell’infinito.




ESPLOSIONE, 2009
Esplosioni su lino
cm. 140 x 74




VIS COMPULSIVA, 2009
Legno di quercia,ferro
cm. 48 x 24 x 10

Tratto dal diritto romano: “con questa formula si designa la violenza morale, cioè quella violenza che viene esercitata sulla psiche del soggetto. Tale tipo di violenza, detta anche psichica – quando si presenta con i caratteri delinati dal primo inciso dell'art. 1435 c.c. ("è tale da far impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole") assume rilevanza giuridica”.





HISTORY OF A VIOLENCE, 2009
Legno di noce,ferro
cm. 20x62x19

Fin dalla Grecia antica,e poi via via nelle culture indo-europee,la pianta della noce era sacra ad Artemide, la dea lunare. Un albero quindi dalla marcata simbologia femminile, tanto da divenire in inquisitorie epoche l’albero delle streghe. Il ferro rappresentava Marte, dio della guerra, la forza e quindi l’uomo. Una barra di ferro piantata nel legno di noce, seppur tra i più duri e coriacei, cede alla violenza della materia che vi si pianta,deformandosi e generando crepe mai più sanabili. Questo è quello che rimane nello spirito femmina quando l'istinto ferroso e violento dell'uomo con tanta leggerezza si sprigiona.





LAST SUPPER EXPLODED (DODICI + UNO), 2009
cm. 148 x 212
Permanganato di potassio,esplosioni,e combusitone di polvere nera su lino.






AFFIDO I MIEI DUBBI ALLA QUERCIA, 2009
Legno di quercia,gancio per trasporto marittimo,ferro
cm. 113x11x32

La quercia,albero sacro per eccellenza,è per ogni cultura simbolo di saggezza, di forza e di virtù. Rappresenta l’uomo. Ha radici molto profonde nella terra (l’aspetto materiale) e rami che altissimi si spingono in cielo (l’aspetto spirituale): la completezza e l’equilibrio della condizione umana. Mi piace l’idea di piantare un interrogativo gancio con un gesto violento nel legno,che così tanto ha visto e che così tanto durerà, come ad evocare tutte le mie rabbiose perplessità ed implorare certezze. Chisonocosasonodovevadocosasarò? Forse la quercia sa qualcosa.





LAST WOODEN SUPPER (DODICI + UNO), 2009
Legno di noce, cera lacca, spago
cm. 43 x 14 x 11

SUDDIVISIONE, 2009

DILATAZIONE, 2009
Legno di quercia,ferro
cm 57 x 6 x 1







DILATAZIONE, 2009
Legno di quercia,ferro
cm. 126 x 6 x 11

DILATAZIONE CON BULLONI, 2009
Legno di quercia,dadi di ferro
cm. 110 x 4 x 11

EGO VS. PARANOID, 2009
Legno di abete,chiodi
cm. 53x10x21

Una carica esplosiva posta in un incavo scavato fra due tavole di abete, successivamente inchiodate fra di loro, esplodendo contrappone la forza della deflagrazione alla costrizione della chiodatura. Una metafora dell'equilibrio doloroso ma stabile fra la potenza dell'ego e l'oppressione delle sue angosce.








3, 2009 Esplosione e combustione di polvere nera su lino cm. 176 x 101 ESPLOSIONE, 2009 Esplosione su cotone cm. 70 x 67 DILATAZIONE, 2009 Legno di quercia e ferro cm. 38 x 28 x 9,5